Gira e rigira, sono due gli esiti di una coppia, o ci si lascia o ci si sposa. Checchè se ne dica, infatti, c’è sempre questo 50 e 50 che incombe: o si continua a stare insieme, direzione matrimonio o convivenza, o ci si lascia per incoprensioni, tradimenti, noia o scelte di vita. Eppure, il vocabolario della coppia mi contraddice perchè, tra lo stare e il non stare insieme, sembrano esserci tanti altri termini e altrettante sfumature semantiche: “ci vediamo“, “usciamo insieme“, senza contare il già più impegnativo “ci frequentiamo“.
Basta fare un semplice sondaggio che attraversi trasversalmente le fasce di età tra i 20 e i 30 anni per capire come questa realtà dei rapporti a metà sia per così dire preponderante tra le giovani coppie di questi tempi, e come costituisca quasi la prima tappa forzata – e talvolta strategica – che prelude a un rapporto più intimo e, almeno nelle premesse, duraturo.
La regola del 50 e 50, però, rimane pur sempre valida perchè, sia che ci si veda o che ci si frequenti soltanto, non ci sono esiti diversi dall’arrivare a un rapporto duraturo o a una rottura definitiva. Sempre che qualcuno non si sia messo in testa di rimanere precari a vita.
E si, perchè il precariato non è un solo un problema del mondo del lavoro, ma una questione di sociologia a tutto tondo: la mancanza di una remunerazione regolare e continuata, l’incertezza di un impiego in linea con la propria formazione – e quindi con le proprie velleità ed amibizioni – porta ad una più generale instabilità ed indeterminatezza.
Se, infatti, la naturale tendenza degli individui è quella di essere determinati dall’ambiente che ci circonda – il quale li plasma sulla base di quegli imput che gli individui stessi danno – è inevitabile che l’incapacità dell’ambiente sociale di plasmarli e di collocarli stabilmente porta proprio a una generale instabilità.
Che questo incida sulle scelte della vita privata è naturalmente consequenziale: l’insoddisfazione personale che deriva da questo sentirsi inderminati porta talvolta a un disagio verso i più generali progetti di vita.
Ma c’è di più. Il tradizionale binomio “coppia mancata-coppia sposata” apparirà infatti a qualcuno superato rispetto alla ben più innovativa ed eccitante coppia alternativa, o coppia aperta, o “coop-pia” (sorta di “cooperativa” sentimentale in cui due individualità, attente ad eventuali tresche in autonomia, cooperano nel rispetto di una soglia molto alta dell’indipendenza).
Molte coppie di oggi, quindi, si pongono con forza proprio questo problema dell’autonomia. Ma questa, tuttavia, è una questione che dovrebbe essere centrale in tutte le coppie, sia quelle aperte sia quelle no. Anzi, è una questione che più in generale dovrebbe porsi ogni individuo a prescindere dal suo essere inserito in una relazione.
Il problema, oltre che di realizzazione sociale, è anche di realizzazione individuale. Va quindi a finire, paradossalmente, che per parlare di coppie si deve parlare di single, e per parlare di single si deve parlare di coppie.